Abbiamo scoperto come ogni giorno sia un giorno nuovo che va vissuto con gioia, come se aspettassimo sempre un figlio. Abbiamo approfondito l’importanza della curiosità nei recenti e nei vecchi legami perché in tutti c’è sempre del nuovo. Abbiamo sperimentato che il tempo, la vita e la relazione che si intrecciano tra loro si basano su un gioco di accoglienza e dono e sono un po’ come un respiro che ha un momento di attività e uno di ricettività ma che soprattutto è indispensabile.
Ivo Lizzola
Professore di Pedagogia sociale
e di Pedagogia della marginalità e della devianza
Univeristà di Bergamo
L’incontro si è aperto con un intervento in cui Lizzola racconta di come il tempo si riveli nell’esperienza dell’altro e si può vivere solo con e grazie agli altri in quanto siamo figli della relazione. Spesso ci illudiamo di poter controllare il tempo poi arriva un figlio o la morte o l’amore o un desiderio profondo e la vita torna a nascere grazie ad altri, si apre in nuove relazioni, nuovi inizi, nuove destinazioni. Questi eventi ci fanno accorgere di come il tempo cambi e ci impongono di ritrovare un senso e una nuova essenzialità: sei chiamato a nascere ancora.
Il tempo ti è stato anzitutto dato, non puoi solo tenertelo. E in qualche modo tu sei frutto del tempo e sei fiorito in questi mille modi perchè tanti tempi d'altri si sono intrecciati e donati dentro il tuo tempo.
Con queste parole Lizzola ha sottolineato l’importanza dei legami ma anche della capacità di donare il proprio tempo. C'è bisogno di generosità e non di paura, c'è bisogno di un senso di perdono o, come Ivo ha sottolineato più volte, di per-dono. Se questo non verrà fatto molti cadranno a terra, molti resteranno indietro e la disuguaglianza sociale sarà sempre maggiore. È un tempo, quello che arriverà, da vivere come un tempo d'inizio: c'è bisogno di nuovi tratti di cammino, della presenza reciproca l'uno dell'altro. Siamo chiamati a riprogettare e ridefinire il tempo inteso come profondo intreccio di tempo biografico e tempo del mondo che si fa aperto.
Nel dialogo è tornato più volte il tema della pandemia in cui c’è stata sia una riscoperta dell’importanza del proprio lavoro destinato alla cura della relazione con l'altro sia una scoperta di una nuova essenzialità che, in verità, era già presente in passato ma non la avevamo mai notata. Non è stato un tempo di miglioramento ma di verità: la pandemia non ci ha resi migliori. Ha infatti fatto affiorare paure, dubbi e incertezze in tutte le generazioni: i più anziani hanno paura di perdere il loro passato mentre i giovani hanno il timore di perdere il loro futuro e quindi di perdere rapporti con il tempo. C'è bisogno di costruire un rapporto con il tempo a venire in cui può essere diluito il passato e può essere messo a disposizione di tutti, nessuno escluso.
La quarantena è stata un po’ un periodo di attesa e ci è stato raccontato di come la parola “attendere” abbia numerosissimi significati. Attendere significa avere cura e farsi vicino: mettersi in comunione con gli altri senza però cadere nell’assistenzialismo e ridurre l’altro al solo bisogno ma aspettandoci da lui qualcosa. Attendere vuole anche dire lasciare spazio, chiedere e aspettarsi: è un circuito di gesti di reciprocità, attendere significa mettersi in condizione di esercitare la nostra libertà. Quando capisci l'attesa su di te fai una scelta, vai avanti e il cammino ti si rivela.
Cogli nell'attesa il senso di destinazione, costruisci il tuo destino obbedendo al tempo. Il tuo destino c'è già, va trovato e si fa chiaro pian piano, non devi sottrarti a questo quando arriverà ma non devi nemmeno anticiparlo
Questo destino è la nostra vita che si rivela pian piano e noi dobbiamo avere il coraggio di farci portatori di questa esistenza condividendola e raccontandola. Dobbiamo saper donare la nostra vita in modo che gli altri la possano accogliere e intrecciare con la loro. Dobbiamo voler imparare a disegnare insieme un orizzonte cioè il venire in chiaro di un desiderio diffuso, un luogo di ritrovamento. La vita è un racconto concreto e i racconti concreti sono l’unico modo di contrastare le parole d’odio, non devono essere racconti utopistici ma racconti veri, vivi in cui un gesto, un incontro con l’altro è stato possibile e ha portato a qualcosa di buono.
Durante la pandemia abbiamo avuto modo di riscoprire la bellezza di alcuni valori, sapremo mantenerli anche dopo? Lizzola ci ha detto che nei grandi momenti di frattura emergono sia i fondi bui sia la forza della relazione e dell’apertura all’altro, sta a noi scegliere che donna o che uomo essere. E tu, che donna o che uomo scegli di essere, quello dei fondi bui o quello della relazione con gli altri?
Ora che possiamo incontrare l’altro c’è bisogno di attenzione reciproca: cura mia e cura tua, vita mia e vita tua negli stessi gesti. Siamo pronti a rinascere e ritrovare una nuova essenzialità avendo sempre a cuore l’altro?