Libero

di Giovanni
Libero

Penso a quei momenti

in cui seduto sul bus, con le cuffie e la musica a vuoto tra il vociare addormentato di tutti quegli studenti semi dormienti, sognavo di essere da solo su una cima di una montagna a vedere l'alba, libero da tutto e da tutti: io e il mondo. Ripenso a quelle ore seduto tra il secchione e il mio compagno di avventure in cui non vedevo l'ora di scappare, fuggire da quella clausura in cui ero costretto, e buttarmi in una vita immaginaria in cui io - da solo - imparavo quello serviva per costruirmi un futuro fantastico, senza bisogno di un'altra persona che me lo insegnasse.

E quegli infiniti allenamenti in cui correvo su e giù per il parquet, sputando l'anima, rincorrendo un sogno. Anche lì, a ogni passo, desideravo trovare un luogo in cui sarei stato libero. Libero di poter professare la magia e l'amore incompreso che provavo quando avevo quella maledetta palla in mano. Poi la mente vaga fino alle giornate in oratorio dove, sotto il sole cocente, uno sciame di bambini mi trascinava e mi utilizzava come se fossi stato “un albero che cammina”.

In quei momenti pensavo a quanto sarebbe stato bello essere da un'altra parte, solo con gli amici più fidati, al fresco, libero da tutte le richieste di attenzione e dal desiderio di contatto e affetto di tutti quei bimbi.
Concludo la mia gita nei ricordi ripensando alle serate al Giro legàmi dopo una settimana impegnativa e una partita altrettanto faticosa, in cui non mi godevo pienamente il momento perché ciò che volevo era essere libero di sognare da solo, nel mio letto.

Proprio qui, sopra questo letto tanto agognato, da solo, libero da tutti, rimpiango tutti quei momenti che non ho vissuto completamente. E allora mi dico: forse non era vera libertà quella che desideravo ardentemente, quando ero libero senza neanche saperlo.